Sulle orme di Gandhi

Storia e storie di Vandana Shiva Emanuela Nava

Sono nata ai piedi dell'Himalaya, dove crescono le foreste e vive il grande cervo sambar.
- Non tagliate le piante - gridava mia nonna agli uomini che salivano lungo i pendii con la scure.
- Se non vi saranno più alberi, i passeri si poseranno sul nostro raccolto e lo mangeranno. Cosa mangeremo noi, allora?
In India le foreste appartengono alle donne. Le donne coltivano i campi, allevano il bestiame, potano gli alberi. Badano che anche gli uccelli abbiano rami su cui posarsi.
In una nicchia della casa, di fronte alla statua di Vishnu, inghirlandata di fiori freschi, mia nonna materna custodiva la tulsi, la piantina di basilico sacro.
- Rappresenta il cosmo - mi diceva.
A ogni cambio della luna, in punta di piedi, all'alba, piano, per non fare rumore, con la sari viola drappeggiata e il bindi rosso disegnato sulla fronte, mi svegliava perché anch'io potessi compiere il rito insieme a lei.
Allora io scendevo dal letto con lo sguardo assonnato e il passo incerto, e raccoglievo un piccolo annaffiatoio di alluminio opaco.
- Venera e disseta la tulsi, Vandana. E rinnoverai il legame tra la casa e l'universo - sussurava la nonna piena di allegrezza.
Quando tornai in India, dopo essermi specializzata in fisica alla Western Ontario University, mi disperai vedendo come quell'antico legame con la natura fosse andato perduto. Avevo lasciato una valle ricca di alberi e di sorgenti d'acqua e avevo ritrovato un luogo di polvere, miseria e inquinamento.
Ma a dieci anni, appena potevo, mi arrampicavo sugli alberi.
Mia nonna, quando mi vedeva abbracciare il grande banyan dalle radici aeree, che cresceva davanti a casa, mi chiedeva se la dea Durga mi avesse finalmente lasciato toccare il cielo con un dito.
- Durga ha dieci braccia - mi ripeteva con voce delicata. ­ Se vuole ti spinge ancora più su.
Non avevo paura di arrivare fino al cielo, e neppure mia nonna ne aveva. Sapevamo tutte e due che ero in buone mani.
Le dieci mani di una dea, nata dalle fiamme sprigionate dalle bocche di Brahma, Vishnu e Shiva.
- Gli alberi sono dee - sorrideva mia nonna.
- Gli alberi sono donne ­ aggiungeva. - La natura è donna e unendosi all'uomo crea il mondo - sospirava, dopo una lunga pausa.
Mi piaceva mia nonna e mi piaceva il banyan con le radici che assorbivano nutrimento non solo dal suolo, ma anche dall'aria.
Il banyan per la nonna era l'albero della conoscenza. Era l'albero della dea madre in armonia con la natura. Era l'albero del Tutto.
-Nonna, ho dipinto gli occhi - dissi un giorno. Era un caldo pomeriggio d'estate e la nonna aveva fritto samosa e pakora.
- Salgo? - le chiesi.
- Sono grandi? - mi domandò lei.
- Sì, due occhi grandi che guardano la terra e il cielo.
- Allora sali. Io mi siedo, qui, all'ombra ad aspettarti.
La nonna si sedette all'ombra del banyan e io salii, arrampicandomi lungo i rami obliqui, e continuai a salire piano lungo il tronco, accarezzando le ampie foglie, che mi scorrevano tra le dita.
Quando giunsi in alto, dove c'era la biforcazione di due fronde, appesi i grandi occhi che avevo disegnato e ritagliato. Erano gli occhi del banyan.
- La dea Durga ha fame. E anche l'albero vuole le pakora. Lo vedo dal suo sguardo - mi disse la nonna. Sedeva a gambe incrociate davanti a un cesto colmo di frittelle.
Scesi, recitammo alcune preghiere di ringraziamento e offrimmo alla dea e all'albero pakora e samosa. Spargemmo le briciole attorno al tronco. Erano così piccanti che avevamo la bocca in fiamme.
- Mangia, Vandana, ti auguro una vita che assomigli al Tutto - sorrise mia nonna.
L'abbondanza attinge dall'abbondanza. Eppure l'abbondanza rimane, dice un vecchio proverbio indiano.

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